La bozza del DPCM sul contenimento della spesa pubblica di cui all’art. 1, comma 857 della legge 30 dicembre 2024, n. 207, solleva incertezze sulla posizione degli enti religiosi.
Il DPCM si applica agli enti che ricevono contributi pubblici provenienti da amministrazioni centrali dello Stato o da società controllate dallo Stato destinati a un progetto o un’attività di interesse pubblico di importo pari o superiore a 1 milione di euro annui oppure, indipendentemente dalla cifra, rappresentanti almeno il 50% delle entrate complessive del soggetto beneficiario.
Gli organi di controllo di tali enti devono verificare che i fondi pubblici non vengano spesi per scopi diversi da quelli dichiarati al momento della richiesta e redigere una relazione sull’utilizzo del contributo da inviare entro il 30 aprile dell’anno successivo all’erogazione al Ministero dell’Economia.
Nel caso in cui un ente un beneficiario del contributo non abbia un organo di controllo interno, dovrà istituirne uno, modificando il proprio statuto e assetto organizzativo.
A differenza degli enti del Terzo settore, espressamente esclusi dai nuovi vincoli di spesa e obblighi di rendicontazione, gli enti religiosi potrebbero dover rispettare le nuove disposizioni.
Tuttavia, la normativa concordataria stabilisce che gli enti religiosi devono conformarsi alla legislazione statale nel rispetto della loro specifica struttura e finalità. Questo principio ha già portato, in passato, a esenzioni dall’applicazione di alcune norme del Codice civile.
Il legislatore dovrà pertanto chiarire se verrà prevista un’esenzione o un trattamento specifico per questi enti, in considerazione della loro particolare natura giuridica.